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Regista tra città e montagna

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La regia del film vincitore del Premio “Torino e le Alpi” all’edizione 2015 di CinemAmbiente si chiama Sandro Bozzolo. Vive a Viola agli 827 metri di altitudine dell’alta Val Mongia, in provincia di Cuneo, ma ha vissuto tra Lituania, Colombia, Ecuador, Argentina e Germania.

Sandro Bozzolo, classe 1986, è il regista del film vincitore del Premio “Torino e le Alpi” all’edizione 2015 di CinemAmbiente, la sezione del 18°Environmental Film Festival sostenuta dalla Compagnia di San Paolo per mantenere viva l’attenzione sui temi delle Terre Alte. Enchikunye / Coming back home è ambientato nelle Alpi Marittime, in un alpeggio sopra il comune di Valdieri, dove Leah Lekanayia, una giovane ragazza Maasai, e Silvia Somà, una bergera della valle, si sono incontrate, lavorando insieme per un’intera stagione. A riprendere i loro gesti, interpretare i loro silenzi e raccogliere le loro impressioni Sandro Bozzolo insieme al suo gruppo di lavoro, che a CinemAmbiente ha ottenuto il primo riconoscimento ufficiale. La montagna ha ispirato i lavori di Bozzolo già in passato, anche perché la sua casa si trova a Viola, agli 827 metri di altitudine dell’alta Val Mongia, in provincia di Cuneo. Ha vissuto tra Lituania, Colombia, Ecuador, Argentina e Germania, ma è a Viola che ha dedicato il suo primo film nel 2010: Autunno Viola è un documentario sulla vita contadina del piccolo borgo tra il basso Cuneese e la Liguria.

L’occhio attento di Bozzolo, allenato anche dal dottorato in “Migrazioni e processi interculturali” che sta concludendo all’Università di Genova, restituisce un documentario sui “masai” – siano essi africani oppure italiani – inseguendo i confini dello stereotipo e ricercando l’essenza di un popolo nomade, di fiera saggezza.

Com’è nato il soggetto del film?

Ho conosciuto Leah due anni fa in Kenya. Leah è cresciuta in una famiglia Maasai tradizionale, dedita alla pastorizia nomade. Quando l’ho incontrata stava percorrendo un cammino difficile, alla ricerca di un equilibrio tra tradizione e innovazione. Studiava management a Nairobi, sfidando le consuetudini che non prevedono istruzione superiore per le donne Maasai. È nella formazione che Leah ha visto una via di fuga da un destino segnato da precise pratiche tradizionali. La sua storia mi ha riportato all’esperienza di Silvia, la bergera delle Marittime che da quarant’anni lavora con il suo gregge sfidando le convenzioni che fanno del pastore un mestiere prevalentemente maschile.

Leah Lekanayia sul set di Enchikunye/Coming back home (foto: archivio ilmurran.it)

Leah Lekanayia sul set di Enchikunye/Coming back home (foto: archivio ilmurran.it)

Un’idea forte per un film ambizioso…

Il film è nato come una visione: una visione che si è trasformata in idea per tornare a essere immagine. E il nostro lavoro va ben oltre il documentario: l’incontro tra Leah e Silvia è inserito nel progetto “Il Murrán. Maasai in the Alps” ed è nato come un’esperienza antropologica a tutti gli effetti, realizzata in regime di completa autoproduzione dall’Associazione Culturale Geronimo Carbonò. Leah ha trascorso 90 giorni in alpeggio con Silvia, dal 15 giugno al 15 settembre, perché tanti erano i giorni che il visto turistico le consentiva di trascorrere in Italia.

Com’è stato vissuto dai locali?

Questo progetto è riuscito a mettere in rete diverse realtà del territorio. Oltre all’Associazione Culturale Geronimo Carbonò hanno contribuito alla sua realizzazione l’Ecomuseo della Segale di Valdieri e 25 “produttori dal basso”, tra amici, strutture e istituzioni delle Marittime.

Silvia Somà sul set di Enchikunye/Coming back home (foto: archivio ilmurran.it)

Silvia Somà sul set di Enchikunye/Coming back home (foto: archivio ilmurran.it)

Il cinema è un luogo chiave nella produzione di cultura: perché è importante che si occupi anche di montagna?

La montagna offre al cinema set naturali incredibili che difficilmente uno scenografo di Hollywood sarebbe in grado di ricostruire. Mi riferisco non solo all’aspetto ambientale, di colori autentici, spazi sconfinati e paesaggi mozzafiato, ma anche a tutti quei residui umani, dalle casermette militari ai borghi abbandonati, che popolano le Alpi a ovest e a est e che restituiscono storia e cultura alle Terre Alte. Dal canto suo, il cinema è in grado di offrire consapevolezza, dibattito e autocritica: valga fra tutti l’esempio de “L’aura fai son vir” che è riuscito a far parlare di montagna in termini realistici, fuori da ogni retorica, con umiltà e sincerità.

Daria Rabbia

Per saperne di più: www.ilmurran.it

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