"Ultimata la preparazione del sacco, esco per le vie della città per dar aria alla mia eccitazione. Quasi automaticamente salgo al Monte dei Cappuccini. Sento il richiamo del vento lontano che rende più trasparente il tramonto. Sopra il Gran Paradiso due nuvolette riflettono l'ultimo sole. Sotto di me la città sta accendendo le prime luci... Sono un prigioniero che ha ritrovato la sua libertà"
(Giusto Gervasutti)

Guida alpina in città

La scelta di non tagliare i ponti con la città può essere sostenuta da un timore inconscio di emarginarsi, privandosi di una vita fatta di sensazioni opposte che proprio perché tali risultano stimolanti e sanno creare sempre nuovi entusiasmi. Questi i pensieri di una guida alpina cittadina, una sorta di cetaceo, conoscitore e frequentatore delle “profondità dell’alta montagna”.
di Umberto Bado

Una guida alpina “cittadina” può essere paragonata a un cetaceo che vive nella profondità dei mari ma che è ancora legato al mondo soprastante per poter respirare.

Questo genere di “Guida-cetaceo” risale (scende, nel nostro caso) in superficie per prendere una boccata d’aria, una boccata di vita di cui forse non riesce a fare a meno.

E Torino è una città ideale per fare il cetaceo. Le dimensioni “ridotte” della città, il suo legame storico con la montagna, la distanza estremamente ridotta che la separa dalle prime pendici delle valli sono tutte tessere di un mosaico che rappresenta un luogo in cui un professionista della montagna può trovare rifugio, conscio che in un battibaleno potrà tornare a “immergersi” nel mondo che ha scelto come suo.

Nelle giornate più terse, soprattutto invernali, le montagne incombono sui palazzi della città come le mura di un regno fantastico e inaccessibile. Da casa posso vedere con una discreta chiarezza il Monte Rosa verso nord e il Gran Paradiso verso nord ovest. Aguzzando lo sguardo, riesco a distinguere la Torre Rossa del Piantonetto immaginandomi appeso ai suoi spigoli. Oppure, se guardo un po’ più a destra, mi posso immaginare lungo uno degli interminabili sentieri della Valle Soana. Una fetta microscopica delle Alpi e un viaggio immaginario di pochi secondi: due piccole realtà che possono fare iniziare bene la giornata. Soprattutto se si tratta della giornata di una guida alpina “cittadina-cetacea”, che per qualche motivo oggi non potrà essere lassù.

La guida alpina e la città rappresentano sicuramente due realtà ben distinte e nella maggior parte dei casi anche divergenti. Come si spiega quindi che alcuni professionisti della montagna decidano di vivere in città? O meglio, come si spiega che dei professionisti della montagna, cittadini in origine, decidano di non trasferirsi in una valle?

Bè, la domanda non è di facile soluzione perché, se da un lato possiamo avere una risposta di carattere economico – in città c’è un bacino di clientela più ampio! –, dall’altra abbiamo una risposta più intima e complessa dettata dalle abitudini e dagli stili di vita.

Vista l’estrema vicinanza tra la città e i monti, per un torinese non è difficile frequentare la montagna. Nel mio caso la famiglia fu il canale preferenziale tramite cui venni a contatto con il mondo verticale, anzi a essere sincero prima del mondo verticale ci fu il mondo “poco più che orizzontale” degli innumerevoli sentieri immersi nei boschi. Gita dopo gita l’appetito cresceva e con il tempo ho cominciato a frequentare la montagna con gli amici. Amici conosciuti a scuola dove si passavano sei lunghe giornate prima della fuga in montagna.

Allora la settimana era così suddivisa: lunedì e martedì con il sorriso da orecchio ad orecchio per l’avventura appena conclusa, mercoledì e giovedì  dedicati alla depressione da metà settimana, venerdì e sabato dedicati a progettare l’avventura della domenica. Una divagazione simile, peraltro molto comune in tutti i libri di montagna scritti da alpinisti cittadini, può non avere molto senso in questo contesto se non per spiegare quanto la passione della montagna fosse già allora strettamente intrecciata con la vita cittadina. La scuola con gli amici, la possibilità di usufruire di biblioteche ricolme di libri di montagna, palestre indoor dove fare amicizie e scoprire che, anche se tre quarti dei giovani giocano a calcio, non sei proprio un pesce fuor d’acqua. Poi frequentare la sezione del CAI con i primi compagni d’arrampicata seri e i personaggi “caratteristici”. Infine, ma con una discreta importanza, la possibilità di “staccare la spina” e immergersi nel turbinio della vita cittadina fatta di incontri, nuove amicizie e nuovi stimoli anche ben lontani dalla montagna.

Tutto ciò faceva sì che la passione per la montagna dipendesse dalla vita cittadina, perché senza libri non ci sarebbe stato modo di sognare e trovare le relazioni, senza compagni non sarei andato da nessuna parte e senza gli “stacchi” sarei stato troppo monotematico. Gli anni trascorrono basandosi su questa rete sociale-arrampicatoria e la passione diventa professione. O, più correttamente, dalla passione nasce una professione, scoprendo la bellezza di insegnare e trasmettere.

La scelta di continuare a vivere in città può essere una difficoltà aggiunta al già non facile lavoro di guida, una difficoltà dettata dalla distanza fisica e dalla necessità di costruirsi un proprio “giro” in mezzo a quasi un milione di persone che non hanno ben capito la differenza tra una guida alpina e un maestro di sci. Solo per questi motivi una persona sana di mente prenderebbe baracca e burattini per trasferirsi in qualche valle con un turismo ben avviato e con un ufficio guide con tanto di segretaria carina e gentile. Ma chi ha mai sostenuto che gli alpinisti siano del tutto sani di mente?

Le luci della città, le sue relazioni e la sua gente frenetica mi hanno sempre dimostrato che in fondo un alpinista o una guida alpina possono vivere ai piedi dei monti e non solo sulla cima, cercando di essere parte attiva del tessuto sociale senza sminuire la propria voglia di avventura. Nel caso specifico della guida, che diventa manager di se stesso, in città si può trovare/creare opportunità lavorative e contribuire alla trasmissione della cultura della montagna.

L’altro lato positivo è rappresentato dalla possibilità/necessità di spaziare da un capo all’altro delle Alpi senza essere troppo vincolato alla valle dove si risiede. Oggi puoi essere sul Monte Bianco e domani in Liguria ad arrampicare, oppure in Dolomiti e ancora su qualche fessura in Valle Orco. E questo è estremamente stimolante.

Il problema di raggiungere la clientela, grazie alla tecnologia non è più tale. Siti internet, social network e altro aiutano molto, e le pubbliche relazioni diventano fondamentali per far breccia nella curiosità del milione di persone che non ti distinguono da un maestro di sci. Detto questo è anche necessario sottolineare, senza vergogna, come la scelta di non tagliare i ponti con la città può essere sostenuta anche da un timore inconscio di emarginarsi, privandosi di una vita fatta di sensazioni opposte che proprio perché tali risultano stimolanti e sanno creare sempre nuovi entusiasmi.

Dicesi quindi guida alpina cittadina quel cetaceo che l’evoluzione ha portato a essere conoscitore e frequentatore delle “profondità dell’alta montagna”. Ma che sovente si può trovare in superficie a prendere una boccata d’aria e a spiare il mondo sovrastante di cui, essendo in fondo un mammifero, fa ancora parte.
Umberto Bado

Info: www.terre-alte.it

Commenta

Immagine CAPTCHA
Cambia immagine
*