Verrà inaugurata Venerdì 14 settembre, alle ore 18, la mostra fotografica di Rino Fassio e Simone Perolari “La strada della pietra. Barge e Bagnolo, i cinesi e la pietra di Lucerna”.
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Si intitola “Le innamorevoli donne delle nevi, montagne e seduzione in copertina – 1880-1940”, ed è una mostra che sarà in esposizione a Torino, presso il Museo Nazionale della Montagna, fino all’11 di novembre 2012.
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Qual è il suo rapporto di torinese con le Alpi?
Amo le Alpi, non posso vivere altrove e lontano da questi monti. Quando stavo a Bruxelles soffrivo di non poter andare in montagna tutte le settimane. Vivere sempre in pianura mi deprime. Mi manca una dimensione. Non si può mai salire per vedere il mondo dall’alto. Andare in montagna mi aiuta a ridimensionare i problemi, a vedere in prospettiva, ad essere più serena, ma anche a toccare i miei limiti. Camminando mi chiarisco le idee, dopo tre giorni in città fatico a riordinarle, perdo lucidità. Sogno sempre di poter scappare tutti i venerdi sera in una valle nuova, per scoprire le borgate, i luoghi, le cime, gli abitanti. Ogni valle ha la sua storia, la sua cultura. Le montagne sono il mio paradiso terrestre.
E’ cambiato nel tempo?
La mia passione per le Alpi non diminuisce, ma aumenta, perché è possibile sempre trovare luoghi nuovi da visitare. Da bambina fino a 44 anni, oltre alle gite brevi, ho praticato il trekking, prima con mio padre e i suoi amici, poi sempre sotto la sua guida, con i miei amici e i loro figli: una settimana all’anno in estate a percorrere tratti di GTA, alte vie sulle Dolomiti, Interegasse in Svizzera, Zillertal e Voralberg in Austria. A 28 anni ho iniziato lo scialpinismo con mio padre lasciando a mia madre la cura dei miei piccoli figli. Ho incominciato ad allenarmi seriamente a 44 anni, prima ero occupata con i miei figli: Pietro e Stefano. Nello stesso anno ho iniziato ad arrampicare. Ho imparato tardi ad andare in montagna da sola e mi piace molto.
Ha dei maestri di riferimento?
Il mio rapporto con la montagna è sempre mediato da “maestri”, perché nelle imprese impegnative sono una “gregaria”, ho sempre bisogno di una guida. Mio padre mi ha iniziato da bambina: a cinque anni camminavo anche dieci ore al giorno. A otto anni mi ha condotto a fare il tour del Rosa. Nello stesso anno mi ha portato al Rifugio Quintino Sella salendo e tornando in giornata da Gressoney La Trinite’ (non c’era ancora la funivia). Renzo Videsott e molti guardiaparco mi hanno insegnato ad osservare gli animali nel Parco del Gran Paradiso. Maria Teresa Silmo, mio capo scout, mi ha insegnato ad essere autosufficiente nelle settimane trascorse in montagna ai campi scout. Mio fratello Paolo mi ha insegnato a sciare. Silvio Mantoan (guida alpina di Ivrea e vincitore della famosa gara Ivrea Mombarone, morto il 18 aprile 2004) mi ha insegnato ad arrampicare nel 1995. Il 4 ottobre 1996 ho festeggiato le nozze d’argento con mio marito, Mauro Salizzoni, salendo la via Malvassora al Becco meridionale della Tribolazione. A 56 anni la mia nuova guida, Luca Bulgarelli, mi ha portato al Cervino in giornata, partendo dall’Oriondè il 12 settembre 2007. Mario Viano mi ha guidato alla cresta Sella della Levanna Centrale e alla cresta nord ovest del Corno Bianco in Valsesia. Mario Michela sulla traversata dei Liskam. Gino Pozza mi ha condotto in tante gite di scialpinismo. Ora vorrei affrontare le creste sui monti cuneesi con una giovane guida: Michele Viano, il figlio di Carlo, un altro mio maestro.
Qual’è la sua valle o montagna del cuore?
Dal 1956, quando avevo cinque anni, mio padre ha lasciato la Valchiusella per quella di Gressoney. Il monte Rosa e le sue valli walser mi hanno sempre affascinato. Da ragazza trascorrevo tutta l’estate a Gressoney St. Jean, sotto il Castel Savoia. Avevo imparato a pascolare le mucche, che riconoscevo e chiamavo per nome. Partendo da Gressoney sono arrivata per la prima volta a piedi ad Alagna, Macugnaga, Saas Fee e Zermatt. Per un bambino è un’esperienza indimenticabile arrivare a piedi in Svizzera, attraversando tante valli! Gressoney è la mia valle del cuore, ma d’inverno ci vado poco, non posso fare scialpinismo come nelle altre valli valdostane. Ci porto i miei nipoti d’estate, sperando che si appassionino anche loro. Ho ereditato da mio padre un pezzo di baita all’Alpenzù, un villaggio walser sotto la testa Grigia, dove ho portato per anni i miei figli a festeggiare il Capodanno.
Come valuta il progetto Torino e le Alpi?
Ricordo quando fu lanciato da Rinado Bontempi piu’ di 10 anni fa. Sono felice che, grazie ad Enrico Camanni, sia finalmente decollato, perché manca a Torino la coscienza collettiva di quale grande patrimonio siano le Alpi per la comunità piemontese. Mi sembra il modo giusto per sensibilizzare i cittadini a scoprire i tanti piccoli mondi alpini che abbiamo a portata di mano. Spero che questo progetto aumenti il fascino di Torino sugli stranieri che vengono a visitare la città.
Qual è il suo rapporto di torinese con le Alpi?
Non so se il mio rapporto con le Alpi sia condizionato dalla mia torinesità. Indubbiamente la vicinanza, la presenza costante, nello sguardo, di quel profilo frastagliato, contribuisce alla mia voglia di montagna, ma non so se sarebbe diverso abitando a Bergamo o a Grenoble. Quello che mi interessa è la montagna, non il punto da cui la guardo.
Ha dei maestri di riferimento?
Primo Levi, Rigoni Stern, Buzzati, tanto per citare qualcuno che, come me, nella montagna trovava uno spazio di libertà.
Qual’è la sua valle o montagna del cuore?
La Val Grande di Lanzo, per il cuore ha ragioni che la ragione (neanche quella alpinistica) non comprende.
Come valuta il progetto Torino e le Alpi?
Interessante a condizione che sappia imprimere al rapporto tra Torino e le sue montagne una direzione opposta a quella scelta dal Toroc e dall’affarismo.
Come vede il futuro delle Alpi?
La risposta precedente può essere valida anche per questa domanda? Credo di sì.
– Qual è il suo rapporto di torinese con le Alpi?
Sono un assiduo frequentatore delle montagne in estate e in inverno e le discipline che pratico vanno dall’arrampicata allo scialpinismo, dalle camminate alle cascate di ghiaccio e da poco anche la bicicletta. Mi sono reso conto che a prescindere dall’attività che si pratica, la montagna “fa bene” e non c’è modo migliore per ricaricare le batterie.
E’ cambiato nel tempo?
In passato attribuivo molta importanza alla performance: tempo impiegato, dislivello, difficoltà ecc., mentre adesso mi può bastare anche solo trovarmi in mezzo alla natura. Scoprire di avere fatto un buon tempo o di avere superato una certa difficoltà fa sempre piacere però oggi forse preferisco l’osservazione delle meraviglie della natura.
– Ha dei maestri di riferimento?
Non ho maestri, ho dei compagni di avventura, anche se qualcosa da imparare c’è sempre. Non mi dispiace anche andare da solo. In settimana non sempre si trova la compagnia e questo non è un buon motivo per rimanere a casa.
– Qual’è la sua valle o montagna del cuore?
Sono molti i posti dove mi piace ritornare o anche solo rifugiarmi con la fantasia nei momenti in cui il lavoro sembra che prenda alla gola: il vallone dello Chardonnet dopo Nevache per l’ arrampicata, lo scialpinismo e le camminate. In questo periodo credo ci sia una fioritura spettacolare. La Val Badia, Chamonix, la Val di Mello. Sono molto affezionato anche a posti vicini che sono Rocca Sella e il Gran Bosco, (mi piace moltissimo la camminata che parte da Monfol, sopra Salice).
– Come vede il futuro delle Alpi?
In Piemonte la montagna spesso mette tristezza. Abbandono da una parte e cementificazione selvaggia dall’ altra, quando altrove hanno saputo fare ben diversamente. Senza andare chissà dove basta guardare il Trentino-Alto Adige, la Svizzera, la Francia, l’Austria. Sarebbe molto bello se le montagne venissero di nuovo abitate non solo il fine settimana e durante le vacanze. Trovo terribili le località di montagna a “fine stagione”, quando tutto è chiuso e deserto e questo comunque è il periodo che ha la durata maggiore. Pensare forse ad attività nuove, a lavori che si possono fare usando prevalentemente il computer o alla produzione bio o comunque d’eccellenza.
Un lettore ci posta un’interessante riflessione sull’accessibilità delle alte valli ai mezzo motorizzati e di quanto prevede il Bidecalogo realizzato dal Cai. Ve lo proponiamo di seguito.
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